Una miriade di emozioni diverse, e alcune perfino contrastanti, hanno caratterizzato la giornata di ieri 23 maggio, XXXI anniversario delle stragi di Capaci.
Ci siamo dati appuntamento coi ragazzi alla Stazione Centrale per poi dirigerci verso il Carcere dell’Ucciardone, dove una delegazione di studenti insieme a me, sarebbe entrata nella famosa e prestigiosa aula bunker.
So che possono sembrare aggettivi poco consoni a qualcosa di così importante e austero, ma li ritengo necessari e adatti ad un luogo che ha segnato una svolta epocale nella lotta alla mafia in Italia.
L’atmosfera era di festa, tipico dei grandi eventi collettivi. Migliaia di giovani da tutta Italia stavano convergendo nella nostra città, Palermo, per onorare e rinnovare la memoria di grandi uomini, e questo elettrizzava i nostri ragazzi. Giunti a destinazione, presi con me i selezionati, ci siamo avviati velocemente verso l’entrata dell’aula bunker, e dopo i dovuti controlli, siamo entrati attraverso un piccolo corridoio, ed ecco le prime sensazioni…
Appena varcata la soglia, avvertimmo immediatamente di essere al cospetto non solo della storia ma di qualcosa di estremamente importante. I ragazzi da festosi e caciaroni (com’è normale alla loro età), improvvisamente divennero riflessivi guardandosi intorno ammutoliti. Non c’era bisogno che io spiegassi nulla, quel luogo parlava da sé.
Trovammo posto sui sedili del piano alto, luogo riservato al pubblico durante le udienze. Dopo poco, iniziarono gli interventi. Ci venne spiegata la storia di quel luogo, i velocissimi tempi di costruzione, le sofisticate tecnologie di sicurezza, le disposizioni non casuali delle celle, ma anche la paura per quello che sarebbe successo lì dentro, gli escamotages dei mafiosi per non farsi condannare, le minacce, le accuse e il tentativo di far cadere tutto in prescrizione così da affossare il gigantesco lavoro dello stato. I nostri allievi erano preda di diverse emozioni e considerazioni, alcuni trattenevano a stento le lacrime, altri si arrabbiavano quando si raccontava un’ingiustizia. L’incontro è terminato con un aneddoto del dott. Pietro Grasso, il famoso racconto dell’accendino che un giorno il giudice Falcone gli regalò, dicendogli: < Me lo restituirai quando vorrò ricominciare a fumare, per ora conservalo tu >. Ovviamente il dott. Grasso non ebbe mai modo di restituirlo a causa della tragedia che avrebbe colpito di lì a poco il magistrato. Bellissimo il messaggio del dott. Grasso, lanciato alle centinaia di giovani presenti. “Io auspico che quella fiammella dell’accendino, possa simboleggiare il fuoco della giustizia che le nuove generazioni devono rinnovare”. A queste parole tutta la platea commossa si è alzata per un interminabile applauso. Quando siamo usciti, mi ha colpito un pensiero espresso da una delle mie allieve…”Se mai dovesse essercene bisogno, io voglio collaborare con la giustizia”. Questa sua frase mi ha dato ulteriore conferma di quanto sia importante il lavoro che facciamo quotidianamente con questi ragazzi, dell’impegno che tutti noi, docenti e tutor, mettiamo in campo per poter plasmare le loro personalità, ed educarli ai valori che ogni buon cittadino dovrebbe avere.
Altrettanto emozionante è stato il corteo cui hanno partecipato i nostri allievi fino all’albero di Falcone, altro luogo simbolo di questa giornata della legalità, dove all’indomani della strage di Capaci, nel 1992, spontaneamente si riunirono, migliaia di persone. Ed ancora musica sul palco ed incontri ed interventi all’Ucciardone per commemorare l’eccidio per mano mafiosa del 23 maggio 1992. Bellissima l’immagine delle bandiere della pace che si mescolavano con gli striscioni che inneggiavano alla giustizia e alla memoria. Piccola nota finale, ma non di poco conto, i nostri ragazzi hanno conosciuto anche alunni di altre scuole e di altre regioni, con i quali hanno scambiato pareri ed impressioni sulla giornata e condiviso molto altro , a sottolineare l’importanza della partecipazione ad eventi come questo per socializzare e condividere esperienze necessarie per una crescita personale e culturale.
Per concludere, ritengo doveroso sottolineare il grande lavoro di squadra che il CIRS mette in atto nel portare a termine ogni progetto, per far sì che i nostri ragazzi siano orgogliosi di noi, così come lo siamo noi di loro.
Prof. Martorana Amedeo
Docente C.I.R.S.